I due monumenti equestri realizzati in bronzo dallo scultore toscano Francesco Mochi (1580-1654) hanno prevalso, e “Piazza dei Cavalli” -baricentro della città di Piacenza- è divenuta il nome corrente. Dei cavalli, e non dei cavalieri, che sono Alessandro e Ranuccio Farnese, padre e figlio, duchi di Parma e Piacenza in successione diretta.
I due monumenti, che costarono molto cari ai cittadini di Piacenza, furono edificati per ordine di Ranuccio: prima il suo, nel 1612, e circa dieci anni più tardi, fra il 1620 ed il 1625, quello del padre Alessandro.
Ranuccio commissionò due statue in bronzo sia per recuperare il favore della popolazione -in quel momento la famiglia Farnese era impopolare- sia per assicurarsi la futura permanenza a Piacenza, città che in quel periodo aveva assunto il titolo di capitale del Ducato di Parma e Piacenza, precedentemente detenuto da Parma.
PIAZZA Cavalli simbolo della citta’
L’ubicazione prescelta fu quella della centralissima Piazza del Comune, da dove sfolleranno solo nel periodo bellico del 1944.
In un primo momento i cavalli del Mochi vengono protetti dai pericoli di eventuali bombardamenti con robuste ingabbiature di fascine di legna. La Piazza è diventata il simbolo di Piacenza, quindi va difesa.
Ci si illudeva che Piacenza sarebbe stata risparmiata, ma quando i ponti ferroviario e stradale sul Po, vicino a Piazza Cavalli, cominciano ad essere considerati importanti vie di comunicazione da interrompere, la paura dei bombardamenti si fa più concreta, così le famose statue equestri di Alessandro e Ranuccio Farnese vengono rimosse e “sfollate“nel castello di Rivalta.
Alessandro Farnese, disarcionato, scende a gambe larghe sul lastricato di Piazza Cavalli.
La sua figura, in questo atteggiamento piuttosto ridicolo, perde la fierezza che aveva quando si trovava sul cavallo.
Dal lato opposto anche Ranuccio Farnese viene tolto dal suo cavallo di bronzo, dopo oltre tre secoli.
E così i cavalli di bronzo e i loro cavalieri, caricati su autocarri, partono per Rivalta dove verranno chiusi nel castello.
“Il 12 luglio 1944 appare chiaro l’obbiettivo che cercano i bombardieri anglo-americani: i due grandi ponti sul Po che congiungono l’Emilia con la Lombardia, Milano e tutto il Nord Italia.
A ondate gli aerei si abbassano sulla zona nord della città vicina alla Piazza dei Cavalli e sganciano centinaia di bombe. Il ponte stradale viene centrato in pieno e molte arcate crollano come cartapesta. Quello ferroviario invece, rimane intatto, sfiorato soltanto da qualche spezzone. Per tre sere consecutive i Liberator tornano alla carica ma con la mira sbagliata.
Ce la fanno, però, il 17 luglio e anche il ponte ferroviario crolla con le sue arcate di ferro nelle acque del fiume. Gli aviatori alleati vogliono far piazza pulita e tornano a bombardare riducendo tutto a ferraglia contorta”. (Ennio Concarotti)
(foto da “Piacenza 40-45 Il dramma di una città” di Ennio Concarotti, Humanitas editrice)
UN’opera del Mochi nel museo del castello
Alla fine della guerra i cavalli del Mochi sono tornati nella loro piazza, mentre nel Castello di Rivalta è rimasta un’altra sua opera, il Cristo nudo, pezzo centrale della sala dei paramenti sacri nell’area museale del castello.
Si pensa che lo scultore toscano abbia realizzato quest’opera nello stesso periodo in cui era a Piacenza per eseguire le statue equestri che portano il suo nome.